PABLO EMILIO ESCOBAR GAVIRIA

PLATA O PLOMO

 

L’interesse dei viaggiatori e degli investitori per la Colombia è aumentato, negli ultimi anni, a dismisura: vuoi per la maggior sicurezza che si respira nel paese, vuoi per l’indiscusso successo della serie tv Narcos. Molti, soprattutto americani, scelgono come meta questo meraviglioso paese sudamericano proprio per seguire le tracce di colui che fu il più potente narcotrafficante del mondo: Pablo Emilio Escobar Gaviria. Non vi nasconderò la mia passione per quella che è stata una delle serie di Netflix più seguite e ben fatte degli ultimi anni, ma la mia curiosità per questo piccolo e potente uomo è legata soprattutto al fatto che, volente o nolente, la sua storia sia da considerare uno dei passaggi fondamentali delle vicende di questa nazione e strumento indispensabile per capire meglio questo tormentato paese speranzoso di cambiamento. Arrivati in Colombia, però, scoprirete che fare domande sul narcotraffico e su Pablito è considerato alquanto scomodo e in pochi saranno disposti a rispondervi: come già vi ho anticipato nel mio articolo ” LA COLOMBIA E I SUOI VOLTI ” è un po’ come andare in Sicilia a fare domande su “Cosa Nostra” o sulla “Stidda”. Vi starete sicuramente chiedendo perché. Semplice: alcuni potrebbero parlarvene bene perché ancora oggi stanno godendo di quelli che sono stati i frutti del narcotraffico del Cartello di Medellín e che considerano El Patrón come un benefattore e una sorta di Robin Hood colombiano anzi paisa (modo in cui vengono chiamati gli abitanti del dipartimento di Antioquia), altri invece potrebbero parlarvene male considerandolo semplicemente come uno dei criminali colombiani più sanguinari del mondo. Non parlarne significa, per i colombiani, non far sapere agli altri il proprio punto di vista su colui che nel 1989 fu addirittura nominato dalla rivista Forbes il settimo uomo più ricco del mondo grazie a una fortuna che superava i 25 milioni di dollari. Pablo che costruì l’impero della droga più grande del mondo (negli anni d’oro arrivò a esportare circa 15 tonnellate di cocaina al giorno), Pablo che donava soldi ai poveri, costruiva scuole, ospedali e addirittura un quartiere dove vivono oggi più di 16 mila persone “Bienvenidos al barrio Pablo Escobar. ¡Aquí se respira paz!” recita il mural all’ingresso del quartiere di Medellín sin Tugurios. Non fatevi ingannare perché la sua generosità non era assolutamente gratuita. Tutto, infatti, aveva un prezzo; “Plata o Plomo”, argento o piombo, soldi o proiettili, la vita o la morte. Vi racconterò un aneddoto per farvi capire meglio la situazione. Arrivata nella città dell’eterna primavera ho partecipato a un tour gratuito organizzato da ragazzi del posto in lingua inglese perché quel giorno era disponibile solo quello. Una volta che il gruppo si è riunito, una ventina circa di persone provenienti da tutto il mondo, la nostra guida ci ha fatto sedere su alcuni gradini e ha iniziato a illustrarci quelle che sarebbero state le tappe principali che avremmo toccato durante la nostra giornata. Parlava, per farsi sentire da tutti noi, utilizzando un microfono e ancora adesso ricordo le sue parole: “Durante il nostro tour vi parlerò, ovviamente, dell’uomo famoso e sapete tutti a chi mi sto riferendo. Non nominerò ma il suo vero nome perché se lo facessi, anche se sto parlando in inglese e non sono molti i colombiani che capiscono bene questa lingua, in un attimo ci ritroveremmo attorniati da decine di persone che si avvicinerebbero solo per capire se ne stiamo parlando bene o male”.

 

I “narcotour” ormai impazzano nella città che, proprio a causa di Pablo Escobar, era considerata negli anni ’80 e ’90 la più pericolosa del mondo. Non vi sarà quindi difficile trovarne uno a cui partecipare. L’ostello dove alloggiavo proponeva diversi tour su Pablo tra cui quello organizzato dalla famiglia Escobar sconsigliato perché a loro avviso avrebbe potuto darmi un’immagine sbagliata della figura del Patrón. A quale ho partecipato secondo voi? Ovviamente a questo. Non vi parlerò tanto della storia del Capo del Cartello di droga più potente del mondo perché credo che ognuno di voi, purtroppo, la conosca benissimo, ma più che altro vi racconterò delle ore trascorse con alcuni dei componenti del cartello e con il fratello di Pablo, Roberto Escobar. La persona che mi è venuta a prendere all’albergo e che ci ha portato in giro durante tutta la giornata, di cui non posso dirvi il nome per ovvi motivi, era proprio uno degli uomini più vicini a Pablo. Parlare con lui, che per motivi di sicurezza preferisce non farsi fotografare da nessuno, è stata un’esperienza pazzesca: ci ha raccontato della sua vita trascorsa al fianco di Escobar, di tutti i soldi sperperati in droga e donne, dell’essere stato disconosciuto dalla sua famiglia, di essersi ritrovato in miseria dopo la fine del cartello, di cosa volesse dire svegliarsi ogni mattina con la consapevolezza che potesse essere l’ultima, di quante sono state le persone che ha accompagnato al “Carcere Castello” chiamato appunto La Catedral in cui si trasferì volontariamente Pablo nel 1991, persone che accompagnò ma che non vide più uscire (pensate che proprio nel carcere sono stati ritrovati circa 150 cadaveri), degli anni passati nascondendosi dalla polizia e soprattutto dai nemici del cartello. Ci ha mostrato diverse foto di momenti passati con il boss del narcotraffico e ci ha confessato che se potesse tornare indietro non rifarebbe gli stessi errori. Mentre parlava di Pablo, però, si percepivano nei suoi occhi e nella sua voce un’incredibile senso di rispetto e anche un po’ di malinconia. Durante una delle tappe del tour ci ha chiesto se fossimo interessati a dei souvenir (magliette, libri, adesivi, fotografie, veramente di tutto) e che nel caso avremmo dovuto comprarli prima di arrivare alla casa di Roberto Escobar e che non avremmo dovuto dire niente a nessuno perché altrimenti si sarebbe messo in seri guai con la famiglia Escobar che vende praticamente gli stessi gadget. Vi posso assicurare che ho letto nelle sue parole il terrore e ci avrà ripetuto miliardi di volte di non aprire bocca con nessuno. Spero di non procurargli dei problemi scrivendo delle sue “vendite” tra le mie righe, ma non credo proprio che Roberto Escobar si ritroverà a leggere questo articolo.

P.S. ROBERTO ESCOBAR NON H ANCORA LETTO QUESTO ARTICOLO, MA PABLO ESCOBAR JR CHE DA ANNI STA RICHIEDENDO IL RICONOSCIMENTO COME FIGLIO DI PABLO L’HA LETTO E MI HA GIA’ CONTATTATO.

 

 

 

 

 

Abbiamo visitato diversi luoghi ripercorrendo le tappe principali della vita di Escobar: El Edificio Dallas, quartier generale degli uffici di Pablo, distrutto nel 1993 da un carro bomba per mano dei Los Pepes (Perseguidos por Pablo Escobar) e che presto diventerà un hotel e aggiungerei probabilmente a tema; il cimitero Jardines Montesacro dove giace la salma del Patrón in una tomba in marmo nero, dove non mancano fiori e visitatori e dove la madre ha fatto costruire una chiesa per i credenti. Una tomba, tutto sommato sobria, se paragonata alla vita di eccessi di Pablo. Pensate che el Patrón iniziò la sua carriera da delinquente proprio rubando le lapidi nei cimiteri prima della sua ascesa nel mondo della droga dopo aver conosciuto la famosissima “Dama Colombiana” Griselda Blanco che costruì il suo impero a Miami e introdusse il cartello di Medellín negli Stati Uniti.

 

 

 

Siamo stati poi accompagnati in una delle case della famiglia Escobar, una delle poche non confiscate dal governo colombiano: non preoccupatevi perché, a detta di Roberto, nonostante gli siano state confiscate praticamente tutte le proprietà, con quello che gli è rimasto possono andare avanti, vivendosela alla grande, almeno altre cinque generazioni di Escobar. Una storia curiosa è che gli appartamenti confiscati alla famiglia, utilizzati dal cartello per nascondere i soldi sotto i pavimenti, sono stati venduti dal governo a basso prezzo a famiglie abbastanza umili. Alcune di queste famiglie decisero di ristrutturare queste case trovando, durante i lavori, dei veri e propri tesori. Una volta che la voce si sparse iniziarono tutti a cercare denaro sotto i pavimenti delle vecchie proprietà di Pablito. Non è difficile capire perché molti amino ancora oggi Pablo Escobar. Arrivati nella villa siamo stati accolti direttamente da Roberto e la prima cosa che ho notato è stata senza dubbio l’incredibile riverenza con cui tutti si avvicinano a lui. Stringergli la mano e sapere che quella stessa mano ha ucciso non so quante persone mi ha fatto venire la pelle d’oca. Nella casa ci è stato mostrato di tutto: da quadri a statue in cui si vedono i colpi di pistola sparati dalla polizia durante una retata; alcune moto e macchine di Pablo (d’altronde amava i motori tanto quanto le donne e la droga),  fotografie varie tra cui la più bella e interessante è senza dubbio quella scattata davanti alla Casa Bianca proprio negli anni in cui era l’uomo più ricercato del mondo (pensate a quanto si sentiva potente e intoccabile: tutti lo cercavano e lui senza farsi scrupoli va proprio davanti alla residenza ufficiale del presidente degli Stati Uniti e si scatta una foto come un qualsiasi altro turista); il tavolo e la sedia dove cenò l’ultima sera della sua vita durante i festeggiamenti del suo compleanno quando a un certo punto iniziò a ronzargli una mosca intorno alla testa e che Pablo percepì come un brutto presagio (proprio il giorno seguente venne ucciso); le scrivanie con i classici doppi fondi dove venivano nascoste le banconote, i passaggi segreti dove sparire. Roberto Escobar, oltre a essere un donnaiolo di prima categoria e un arzillo vecchietto, mi ha dato l’impressione di un uomo a modo e pacato: mai potreste immaginare che quella stessa persona così gentile abbia sparso nel passato e a quanto pare non solo nel passato così tanto sangue. Girano notizie che abbia consigliato alla produzione della serie tv Narcos, a cui aveva richiesto tra l’altro lo scorso anno un miliardo di dollari per aver utilizzato l’immagine del fratello senza chiedere il permesso alla famiglia, di guardarsi alle spalle e intensificare il loro sistema di sicurezza dopo l’assassinio di Carlos Munoz, il 37enne assistente alla produzione, trovato morto nella sua auto, freddato a colpi di pistola nel paese di San Bartolo Actopan, non lontano da Città del Messico, dove l’uomo era impegnato nella ricerca di nuove location per la quarta stagione. Parlare e scattare foto con colui che era non solo il contabile dell’impero del fratello ma soprattutto “il capo dei killer” del cartello è sicuramente una di quelle cose che non mi capiteranno mai più nella vita e ancora adesso, se ci penso, non mi sembra vero.

 

 

 

 

 

 

 

Roberto vi racconterà di quando gli scoppiò in faccia nel 1993 una lettera bomba inviata da nemici del cartello, di quando Frank Sinatra vide una delle Harley Davidson di Pablo e gli chiese di vendergliela e el Patrón gli rispose: “Questa non potrai mai comprarla, questa è la motocicletta di Pablo Escobar, ma potrai averla solo perché sarò io a regalartela” e così fu. Nel 2006 la salma di Pablo venne esumata così, con un test sul DNA, si confermò la reale identità della salma e si misero a tacere tutte quelle voci che davano el Patrón vivo a spassarsela in giro per il mondo. Roberto ci ha raccontato, inoltre, che proprio durante la riesumazione riuscirono a verificare che la morte del più potente narcotrafficante del mondo, che non girava mai senza la sua pistola, non sia avvenuta per mano del tenente Mario Salazar ma che, in realtà, si sia suicidato sparandosi un colpo alla testa prima che i poliziotti iniziarono a sparare e che i medici legali abbiano modificato volontariamente i risultati dell’autopsia. La morte di Pablo Escobar è uno dei quegli argomenti che continueranno a far parlare. Pensate che, uno dei più grandi e conosciuti artisti colombiani nativo proprio di Medellín, l’unico e inimitabile Fernando Botero ha ritratto la morte di Escobar già in due sue opere: “La muerte de Pablo Escobar” nel 1999 e “Pablo Escobar muerto” nel 2006, entrambi esposti nel Museo de Antioquia.

 

 

 

 

E’ sicuramente un’esperienza che consiglio, non sono stati assolutamente di parte e non hanno minimamente descritto Pablo Emilio Escobar Gaviria come un santo: ci hanno raccontato semplicemente la sua storia senza nascondere nulla. Ovviamente il tour non è gratuito anche se Roberto ci ha assicurato che i soldi che raccoglie vengono utilizzati a favore di associazioni a scopi benefici fondate dalla famiglia Escobar.

Prima di andarmene dalla casa di Roberto ho firmato il grande libro delle presenze…chissà…forse ora compaio nel libro paga della famiglia Escobar.

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